Archivio | marzo, 2011

Energia Pulita

24 Mar

No al catastrofismo, ma attenzione alla crescita demografica: nel 2050 saremo nove miliardi di persone. Ma sarà la tecnologia a salvarci. Buono il piano europeo sulle emissioni: ora si tratta di attuarlo. E di convincere gli scettici. Quanto alle energie alternative al petrolio, le soluzioni praticabili sono tre: il nuovo solare termodinamico, le biomasse di terza generazione e le correnti marine

carlo rubbia


È uno degli scienziati italiani più conosciutial mondo. Ma il premio NobelCarlo Rubbia non è soltanto un fisicoteorico, è anche un apprezzato organizzatoredi ricerche e sperimentazioni in varicampi. Da qualche mese è consigliere delgoverno italiano per le energie alternative.Professore, studi e ricerche amplificatidai media ci sottopongono vari quadri piùo meno catastrofici del mondo al 2050:grandi aree desertificate, mari che invadonoampie zone costiere, centinaia dimilioni di persone costrette a migrare.Lei come si immagina il futuro?Al di là degli allarmismi talvolta eccessivispesso amplificati dai mass media,resta il fatto che nel 2050 il mondopotrebbe trovarsi in una situazione moltograve se globalmente si continuerà aseguire degli scenari business as usual. Inaltre parole, per garantire un futuro accettabileper le generazioni future, è necessariomodificare profondamente e quantoprima possibile il nostro approccio nell’affrontarepolitiche idonee a riconciliareenergia e ambiente. Oggi ci sono 6,5miliardi di persone sulla terra. Nel 2050saranno 9 miliardi. Anche se meno mediatizzatidei cambiamenti climatici, anchealtri gravi problemi ci attendono, associatisia alle carestie dovute all’insufficienzadelle colture, oggi ancora sovrabbondanti,sia alla mancanza di acqua.Guardando a più breve termine, ci sono(anche nei rapporti Ipcc) scenari più gradualistie altri che ipotizzano non un peggioramentolineare, ma un’accelerazionedrammatica dei fenomeni climatici. Unoscenario pubblicato dal Pentagono ipotizzaaddirittura una crisi in Europa al 2010per la deviazione della Corrente delGolfo. Lei come scienziato che cosa siaspetta?Un cambiamento drammatico dovutoalla deviazione della Corrente del Golfonon è certamente per il 2010, ma potrebbeavvenire a causa dell’estinzione dei ghiacciaipolari e dei cambiamenti di salinitàdell’acqua. Questi fenomeni sono possibilise l’aumento di temperatura raggiungessealmeno 4 gradi centrigradi al secolo, cioèall’incirca il doppio di quanto prevedono lestime attuali. Ci sono comunque grandissimeincertezze e va ricordato che un talefenomeno si è gia verificato più volte nellastoria del nostro pianeta.Clima, energia e acqua sono tre problemiglobali strettamente correlati. Non pensache finora sia mancato un approccio sistemicoda parte delle organizzazioni internazionalie dei governi?Certamente sì, nel nostro Paese poi spessomanca addirittura un coordinamento alivello dei singoli ministeri. In generale, siriscontra un profondo scollamento tra laretorica della politica in merito ai cambiamenticlimatici e le priorità nell’assegnarele relative risorse e finanziamenti. Tra idecisori persiste un sostanziale scollamentotra i discorsi che si fanno a tutti i livelli suicambiamenti climatici e la dura realtà deibilanci e di altre priorità. È urgentementenecessaria una nuova visione. Solamentegrazie a un nuovo e immediato sforzo nellaRicerca e Sviluppo e adeguati finanziamentiindirizzati a sorgenti di energia innovativepotremo riuscire a modificare la tendenzaattuale. Abbiamo bisogno di nuovi grandisviluppi nella scienza e nel mondo industriale.La tecnologia ci salverà? In quali campipossiamo sperare in salti tecnologici importantiper affrontare l’insieme di questi problemi?La risposta a questi problemi cruciali puòvenire essenzialmente dalla tecnologia. Lerinnovabili attuali, di prima e seconda generazione, così come il nucleare di oggi nonsono in grado di sostenere interamente lasfida della sostituzione dei combustibili fossili.Esistono oggi tre soluzioni praticabili dalpunto di vista scientifico e anche economico.Il nuovo solare termodinamico che sta rapidamenteguadagnando terreno in moltiPaesi. Si parla invece ancora poco delle biomassedi terza generazione, che permettonoun utilizzo molto più efficiente dell’energiasolare in etanolo, con un aumento fino a unfattore dieci nell’efficienza di conversionerispetto alle tecniche attuali. Infine, vannoesplorate le possibilità di utilizzare le correntimarine.Nel 2012 scade Kyoto. L’Unione Europea haperò gettato il cuore oltre l’ostacolo col suoprogramma al 2020 e spera di coinvolgereStati Uniti e i grandi Paesi in via di sviluppo.Però gran parte dei Paesi europei sonogià inadempienti oggi rispetto ai limiti diemissione concordati. E lei ha detto checomunque gli obiettivi europei sono insufficienti.È davvero possibile un cambio divelocità?Prima di tutto vorrei ricordare che moltiPaesi, tra cui la Germania, la Francia, ilRegno Unito, sono all’interno dei parametridi Kyoto. All’Unione Europea, con il suocoraggioso programma per il controllo delleemissioni, va il merito di avere messo ilproblema al centro del tavolo. È solo con ilbuon esempio che si può aspirare a coinvolgereanche gli altri Paesi in un’ottica che cifaccia realizzare che viviamo tutti sullostesso pianeta. I problemi vanno affrontatiglobalmente e il fatto che Kyoto sia solo un“appetizer” non è una scusa per non rimboccarsile maniche. Diciamo che oggi vedopiuttosto il rischio che si continui a discuterea livello teorico, mettendo in secondopiano la necessità invece urgente di preparareun concreto piano di azione basatosullo sviluppo e la diffusione di nuove tecnologieeco-compatibili.Risparmio energetico e promozione di fontirinnovabili sono altrettanto importanti. Peròla politica è fatta di scelte. È prioritarioinvestire per promuovere con agevolazionile nuove fonti, abbassandone il costo alivelli paragonabili alle energie fossili,oppure tassare le emissioni di CO2 perindurre al risparmio e aumentare il costodelle fonti inquinanti?La politica dovrebbe creare le condizioninecessarie a un reale mercato basato sulleenergie rinnovabili.Tra le fonti rinnovabili, quali sono quellepiù interessanti a livello globale? E perl’Italia?L’Italia ha un’enorme sorgente indigenanon utilizzata che è il sole. Ogni metro quadrodi terreno del Sud, e ancora più nelleregioni africane limitrofe, dove immensesuperfici desertiche sono disponibili, annualmente“produce” un barile di petrolio, chenon è poco! Tra le tecnologie che si dovrannosviluppare vanno menzionate il solaretermodinamico a concentrazione(Archimede) e l’uso del solare per la produzionedi biomasse (etanolo). Ambedue questetecnologie hanno l’importante vantaggio dipermettere l’accumulo di energia e quindi dieliminare la variabilità temporale delle sorgenticlassiche (PV ed eolico).Lei si è espresso a favore dell’energia dabiomasse. Ma può avere un ruolo significativoanche in Europa, o solo nelle aree congrandi superfici coltivabili?Oggi in Europa esistono sufficientisuperfici coltivabili che non sono sfruttate eche potrebbero aprire la via a utilizzi bioenergeticitanto in Italia che nella maggioranzadei Paesi europei. Non c’è dubbio chel’etanolo è dietro la porta oggi in USA eBrasile e domani anche in Europa.I pro e i contro del nucleare sono noti.Secondo lei le centrali di nuova generazionesono da promuovere? Realisticamente èpensabile che diano un contributo importantealla soluzione del problema?Non c’è dubbio che il nucleare continuerà aprodurre energia elettrica in quei Paesi chelo considerano accettabile e nei luoghi doveoggi si fa già ricorso a questa tecnologia.Direi che in questi Paesi, come la Francia, ilRegno Unito o gli USA, che hanno investitopesantemente nel nucleare, le centrali dinuova generazione saranno una necessitàpiù che una scelta, in quanto la vita degliimpianti attuali è ormai giunta alla suanaturale fine. Tuttavia, rimane ancora irrisoltoil problema delle scorie radioattive.Vorrei ricordare che il nucleare produceoggi nel mondo solo il 6% dell’energia. Perfare sì che esso incida in modo più significativoa livello globale in sostituzione deifossili, il nucleare dovrebbe moltiplicarsi diun grandissimo fattore, soprattutto neiPaesi in via di sviluppo, che a partire dal2010 saranno i principali produttori di CO2!Anche le nuove centrali non hanno a oggirisolto il problema legato ai rischi di proliferazione,particolarmente critici proprio inqueste aree.Quindi, a mio avviso, il nucleare di oggi nonè senza problemi e, soprattutto, con i nuovicosti previsti, non è l’asso pigliatutto. Unabuona dose di prudenza mi sembra assolutamentenecessaria.Qualche anno fa l’idrogeno per l’autotrazionesembrava una soluzione interessante evicina. Ci sembra però che gli entusiasmi sisiano raffreddati. Lei che ne pensa?Come ben noto l’idrogeno non è unanuova fonte di energia (non esiste abbondanteidrogeno libero in natura), ma unmezzo di trasporto dell’energia prodotta conaltri metodi. Le preoccupazioni sui fossiliportano alla conclusione che l’idrogenodebba essere prodotto da energie rinnovabili.Oggi non esistono ancora metodi comprovatie a costo ragionevole per sostituire massivamentein questo modo i trasporti con l’idrogeno.Personalmente io scommetterei piuttostosull’etanolo proveniente dalle biomasse:il motore a combustione interna ha ancoraun bel futuro davanti a sé!

Il Virus “Corruptor”

22 Mar

“Europarlamentari protagonisti di uno scandalo di ‘soldi in cambio di leggi'”, titola il Sunday TimesRivelando “uno dei più grossi scandali nei 53 anni di storia del parlamento”, il Times ha reso noto che tre eurodeputati – tra cui un ex vice premier romeno – hanno accettato bustarelle da alcuni reporter che si fingevano lobbisti. Durante un’inchiesta lunga otto mesi i giornalisti hanno contattato più di 60 europarlamentari, chiedendo loro se fossero interessati a un impiego retribuito come “consulenti”. Quattordici eurodeputati hanno abboccato all’amo, e tre di loro – Adrian Severin, ex vice premier romeno, Zoran Thaler, ex ministro degli esteri sloveno ed Ernst Strasser, ex ministro degli interni austriaco – hanno accettato di presentare alcuni emendamenti alla direttiva sui Sistemi di garanzia del deposito, nata per proteggere i depositi dei consumatori dal collasso delle banche. Gli emendamenti compaiono ora tra i documenti ufficiali del parlamento, esattamente come li hanno scritti i falsi lobbisti. Gli europarlamentari, che guadagnano già più di 200mila euro all’anno più le indennità non dichiarate, credevano che avrebbero ricevuto per la loro collaborazione un ulteriore salario annuo di 100mila euro o un compenso a consultazione.

La Nostra Pelle

22 Mar

Nucleare, ora la parola d’ordine è “riflessione”. E l’agenzia Dire cattura un dialogo fra il ministro Prestigiacomo, il portavoce del premier Boonaiuti e Tremonti: “”E’ finita, non possiamo mica rischiare le elezioni per il nucleare. Non facciamo cazzate. Bisogna uscirne ma in maniera soft. Ora non dobbiamo fare nulla, si decide tra un mese”.

stefania prestigiacomo

Punto 36 – Della risoluzione sul “Clima” approvata, a maggioranza orwelliana, dal parlamento europeo, il 25 nov. 2009, emendamento aggiunto ed approvato su proposta delle destre e del PPE che recita scajolanamente:

“Il Parlamento europeo,
sottolinea che una transizione internazionale verso un’economia a basse emissioni di carbonio porterà a considerare l’energia nucleare come un elemento importante del mix energetico nel medio termine; precisa tuttavia che la questione della sicurezza del ciclo del combustibile nucleare va affrontata in modo adeguato a livello internazionale al fine di garantire il massimo livello possibile di sicurezza.”

Quelli a favore del nucleare:

1 Salvatore TATARELLA
2 Francesco DE ANGELIS
3 Guido MILANA
4 Gabriele ALBERTINI
5 Alfredo PALLONE
6 Gianni VATTIMO
7 Vincenzo IOVINE
8 Alfredo ANTONIOZZI
9 Lara COMI
10 Antonio CANCIAN
11 Paolo BARTOLOZZI
12 David-Maria SASSOLI
13 Sergio BERLATO
14 Leonardo DOMENICI
15 Erminia MAZZONI
16 Sergio Gaetano COFFERATI
17 Cristiana MUSCARDINI
18 Luigi BERLINGUER
19 Barbara MATERA
20 Giovanni LA VIA
21 Antonello ANTINORO
22 Debora SERRACCHIANI
23 Licia RONZULLI
24 Luigi de MAGISTRIlS
25 Salvatore CARONNA
26 Aldo PATRICIELLO
27 Salvatore IACOLINO
28 Pier Antonio PANZERI
29 Iva ZANICCHI
30 Clemente MASTELLA
31 Gianni PITTELLA
32 Giommaria UGGIASl
33 Sergio Paolo Francesco SILVESTRIS
34 Rita BORSELLINO
35 Roberta ANGELILLI
36 Crescenzio RIVELLINI
37 Francesca BALZANI
38 Rosario CROCETTA
39 Amalia SARTORI
40 Raffaele BALDASSARRE
41 Carlo CASINI
42 Tiziano MOTTI
43 Gianluca SUSTA
44 Mario MAURO
45 Herbert DORFMANN
46 Patrizia TOIA
47 Roberto GUALTIERI
48 Pino ARLACCHI
49 Mario PIRILLO
50 Paolo DE CASTRO
51 Marco SCURRIA
52 Magdi Cristiano ALLAM
53 Vittorio PRODI
54 Carlo FIDANZA
55 Niccolò RINALDI
56 Andrea COZZOLINO
57 Potito SALATTO

parlamento europeo

Il Pd, annuncia in questa intervista Pier Luigi Bersani, sosterrà il referendum per abrogare la legge sul ritorno al nucleare.

Segretario, cosa risponde al governo, che definisce sbagliate le reazioni nostrane di fronte alla tragedia di Fukushima? «Certamente si tratta di un caso estremo ed è vero che ci sono nel mondo generazioni di centrali più evolute. Tuttavia continuare a classificare come emotive le reazioni dell`opinione pubblica è sbagliato».

Il fondatore e leader dell’Italia dei valori (Idv) Antonio Di Pietro è tornato ad attaccare il progetto nucleare del Governo Berlusconi dal palco di Piazza Navona a Roma. Durante la manifestazione dell’Idv, Di Pietro si è soffermato sui referendum del 12 e 13 giugno prossimi contro il legittimo impedimento, contro la privatizzazione dell’acqua e contro il nucleare lanciando un appello a tutte le forze politiche, sociali ed economiche del Paese.

1 de magistris (IdV)  vota l’emendamento per togliere l’articolo nucleare ma perde.

2 de magistris vota subito dopo a favore della risoluzione NON EMENDATA con successo, quindi pro nucleare.

de magistriis

Siriana

21 Mar

E in Siria è di almeno un morto e cento feriti il bilancio dei nuovi scontri avvenuti a Daraa, nel sud della nazione, tra migliaia di manifestanti e forze di sicurezza. Gli agenti hanno aperto il fuoco e sparato lacrimogeni contro la folla, che per il terzo giorno consecutivo si era radunata nella città, dove venerdì scorso erano stati uccisi quattro manifestanti. La rabbia oggi è esplosa dopo l’arrivo di una delegazione governativa incaricata di portare le condoglianze del regime alle famiglie delle vittime. Il presidente siriano Bashar al Assad, infatti, ha presentato oggi le sue formali condoglianze “alle famiglie dei due martiri morti” nel sud della Siria venerdì scorso, dove secondo i cittadini di Daraa, teatro delle manifestazioni anti-regime, ci sarebbero stati fino ad oggi sei morti, uccisi dalle forze di sicurezza di Damasco. Nel corso degli incidenti, centinaia di manifestanti hanno incendiato il palazzo di Giustizia, la sede del partito Baath e altri edifici della cittadina. Anche alcuni veicoli sono stati dati alle fiamme. Come gesto di distensione, Damasco ha deciso la liberazione di 15 giovani, tutti sotto i 16 anni, il cui arresto aveva provocato l’esplodere delle proteste. I ragazzi erano stati fermati per aver scritto graffiti inneggianti alle rivolte tunisina ed egiziana sui muri della città.

Venti di Guerra

20 Mar

Petrolio

20 Mar

Gli attori dell’Asse del male potrebbero essere divisi in quattro categorie, come operato in “I nomi del male“. La prima, quella degli “Avanzi di guerra fredda” vede Fidel Castro nelle vesti di Patriarca nell’autunno, Kim Jong-il come Il ricattatore nucleare e Bashar Assad Pragmatico sponsor del terrore.La terza riguarda i “Signori del terrore”: il Mullah Omar l’Emiro fantasma; Sayed Hassan Nasrallah Lo sceicco dei kamikaze; Ayman al-Zawahiri L’Anchorman del jihad; Tirofijo L’eterno guerrigliero; Hamas Con ardore per la Palestina islamica.La quarta invece si sofferma sulle “Dittature esemplari”. Aleksandr Lukašenko L’ultimo dittatore d’Europa; Robert Mugabe il Mandela andato a male; Myanmar Il destino di Orwell; Sudan Di massacro in massacro.Ma la seconda parte, quella sui “Signori del petrolio”, metteva appunto Chávez assieme a Gheddafi, oltre che ad Ahmadinejad.Dal punto di vista delle biografie personali, per la verità, la somiglianza era più tra Chávez e Gheddafi. Entrambi colonnelli. Tutti e due golpisti, anche se il libico riuscito, e il venezuelano invece fallito e andato al potere per via elettorale. Entrambi ufficiali delle trasmissioni e dunque preparati sul cruciale tema della comunicazione. E poi un llanero e un beduino, appartenenti a due segmenti di popolazione numericamente marginali, ma rappresentate come quintessenza più autentica rispettivamente della venezuelanità e della libicità.Dal punto di vista del tipo di regime, invece, l’affinità è più tra Iran e Venezuela. E in effetti i rapporti tra Chávez e Gheddafi sono stati più intensi dal punto di vista personale, ma tra Venezuela e Iran dal punto di vista istituzionale.Vediamoli però tutti e tre assieme. Muammar Gheddafi, classe 1942. Leader della rivoluzione libica del primo settembre 1969, primo ministro dal 16 gennaio 1970 al 16 luglio 1972, è attualmente “Leader fraterno e Guida della rivoluzione”, nonché “Guida della grande rivoluzione del primo settembre della jamahiriya socialista popolare araba libica”. Jamahiriya è un neologismo creato dallo stesso Gheddafi modificando il normalejumhūrīya, “repubblica”, in modo da farlo significare qualcosa tipo “Stato delle masse”. Le due cariche sono in teoria onorifiche, ma corrispondono a un ruolo di capo dello Stato de facto.

Hugo Rafael Chávez Frías, classe 1954. Dal 2 febbraio 1999 presidente della Repubblica del Venezuela, divenuta il 15 dicembre 1999 Repubblica bolivariana del Venezuela.

HUGO CHAVEZ

Mahmud Ahmadinejad, classe 1956. Dal 3 agosto 2005 Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran.

MAHAMUD AHMADINEJAD


Primo dato in comune: sia Chávez sia Ahmadinejad sono divenuti presidenti dopo un voto pluralista, prevalendo su candidati concorrenti. Chávez, anzi, è stato eletto tre volte, tra la seconda e la terza delle quali è stato confermato da un referendum revocatorio.


In Iran esistono organismi di natura teocratica che limitano pesantemente la scelta democratica, e il Venezuela è in fase di pesante involuzione autoritaria, ma nessuno dei due paesi può essere considerato una dittatura allo stesso livello dei tre “Avanzi di guerra fredda”.


Gheddafi invece è andato al potere con un colpo di Stato. Prima dei recenti avvenimenti, però, vari osservatori hanno testimoniato che il sistema dei Congressi del Popolo da lui creato in Libia non era un organismo fittizio stile potere sovietico, ma manifestava un minimo di articolazione e dibattito reale.

MUHAMMAR GHEDDAFI


In modo diverso, tutti e tre questi leader sono stati dunque espressione di un mandato popolare più o meno genuino. Ma né Libia, né Venezuela, né Iran sono oggi uno Stato di diritto vero e proprio.


La spiegazione dell’apparente contraddizione è nel petrolio, di cui l’Iran era stato al momento in cui quel libro andava in stampa il quarto produttore mondiale e il terzo esportatore; il Venezuela l’ottavo produttore mondiale e sesto esportatore; la Libia il diciassettesimo produttore mondiale e undicesimo esportatore.


Grazie al greggio la Libia ha il reddito pro capite più alto dell’Africa e il Venezuela ha avuto per molti anni il reddito pro capite più alto del Sud America. Più povero è l’Iran, che deve dividere questa ricchezza tra una popolazione molto più numerosa, ma ha comunque un reddito pro capite che è quattro volte quello del Pakistan e dieci volte quello dell’Afghanistan, tanto per confrontarlo con due suoi vicini senza petrolio.


In Libia, Venezuela e Iran, dunque, chi controlla il petrolio può stabilire un potere forte sulla società permettendosi di ridurre al minimo una repressione che pure c’è, giocando invece sul consenso. Ma per mantenere questo consenso è necessario che i prezzi del greggio siano alti.


Quale modo migliore di far schizzare in alto le quotazioni dell’oro nero, se non agitando la comunità internazionale con dichiarazioni incendiarie?


Alla radice, il problema di questi paesi come Asse del male è tutto qui. È pure vero che i risentimenti anti-Usa e anti-multinazionali in Libia, Venezuela e Iran sono radicati, e legati a aspre lotte per il controllo della ricchezza nazionale. La monarchia senussita in Libia, la quarta repubblica venezuelana e il regime dello scià in Iran erano venuti meno proprio per l’incapacità di risolvere queste lotte in modo soddisfacente.


Di qui, però, anche una politica estera all’apparenza avventurosa, sebbene poi tra il dire e il fare ci passino di mezzo oceani, più che mari. In tutti e tre questi paesi la necessità di spendere i petroldollari per mantenere il consenso ha infatti portato a una drastica sottovalutazione di investimenti e ammortamenti, rendendoli pesantemente dipendenti dall’estero per la raffinazione.


E in tutti e tre questi paesi c’è anche una forte esposizione dalle importazioni anche per gli approvvigionamenti dei beni di prima necessità. Ciò, spesso, piuttosto che fare da calmante ha stimolato per reazione la bulimia geopolitica, con progetti di integrazione e assi di alleanza megalomani.


D’altra parte, è lo stesso andamento altalenante delle quotazioni del greggio a creare psicologie nazionali ciclotimiche, sempre in bilico tra la depressione vittimista e l’ottimismo prometeico.


Altro punto in comune tra Libia, Venezuela e Iran è infatti l’ardito sperimentalismo ideologico-istituzionale: dal Libretto Verde di Gheddafi al bolivarismo e socialismo del XXI secolo di Chávez alla Rivoluzione Islamica del khomeinismo, tutti e tre questi paesi in realtà culturalmente marginali hanno ritenuto di aver inventato un nuovo modello politico in grado di rinnovare l’intero scenario mondiale, ponendo rimedio ai limiti delle ideologie tradizionali.


Tutti e tre questi paesi nell’Asse del male si trovano dunque in condizioni sui generis. L’Iran infatti a un certo punto è sembrato fare uno sforzo per tirarsene fuori: è stata la non comprensione Usa che secondo alcuni ha portato all’arroccamento dell’elezione di Ahmadinejad.


La Libia è stata in qualche modo perdonata dagli Stati Uniti. Ma dal punto di vista interno è restata un oggettivo Avamposto di Tirannia, fino all’ultima esplosione.

Quanto al Venezuela, il caso è curioso, perché nonostante avesse preso alcune cautele Washington ha a lungo esitato a catalogare Chávez nelle sue numerose liste nere.

Anzi, il sottosegretario Usa agli Affari Emisferici Shannon ebbe modo di riconoscere il Venezuela come “una democrazia, sia pure con problemi”. Sembra però che sia stato Chávez a cercare di fare di tutto per suscitare le ire statunitensi. Non ci sentiamo di stabilire se solo per far rialzare i prezzi del petrolio.

O per far dimenticare che rimane uno dei principali fornitori di greggio agli Usa, anche con le guerre in corso in Iraq e Afghanistan. O per ideologia. O perché ha elementi per concludere che gli Usa stanno manovrando contro lui sotto banco. O per che altro.

Maurizio Stefanini, giornalista professionista e saggista. Free lance, collabora con Il FoglioLiberoLiberalL’OccidentaleLimesAgi EnergiaScuola Superiore della Pubblica AmministrazioneScuola Superiore dell’Economia e delle Finanze.Specialista in politica comparata, processi di transizione alla democrazia, problemi del Terzo Mondo,  in particolare dell’America Latina, e rievocazioni storiche.

Il Sudan non è la Libia

20 Mar

carta del Sudan petrolifero. Notare il Darfur (non ha nulla)

Il sangue che continua a scorrere in Sud Sudan e le violente repressioni delle sommosse anti-governative organizzate dagli studenti a Khartoum segnano i primi passi del nuovo Sudan spaccato in due dal referendum di autodeterminazione del meridione.

La tensione nel paese è palpabile.

La decisione del governo, annunciata dal segretario generale del Sudan’s people liberation movement, Pagan Amum, di pagare al Nord soltanto un canone per l’utilizzo dei gasdotti che trasportano il petrolio a Port Sudan e di non condividerne i proventi come stabilito dal Compehensive peace agreement destabilizza ulteriormente il quadro geopolitico sudanese.

Secondo l’accordo del 2005, il Nord dovrebbe ricevere metà degli introiti derivanti dal greggio estratto nel Sud, che non ha sbocchi sul mare e dipende completamente dalle infrastrutture del settentrione e dal porto sul Mar Rosso per esportare il prodotto raffinato all’estero.

Ma Juba non ha alcuna intenzione di continuare a cedere le ricchezze del proprio territorio e chiede che le regole siano ridefinite.

La maggior parte della produzione petrolifera quotidiana, attualmente di 500 mila barili, è garantita dai giacimenti nel sud mentre gli oleodotti e le raffinerie sono situati nel nord.

Entrambe le parti, per sostenere le rispettive economie, hanno interesse a mantenere la cooperazione in materia di greggio, principale fonte di guadagno dello Stato, ma sulle condizioni c’è una netta spaccatura.

Il Sudan del Sud ha le idee chiare su come gestire le proprie risorse energetiche.

Se scoprisse nuove riserve petrolifere, sarebbe pronto a costruire altri oleodotti e a sviluppare una più ampia rete di trasporti verso i porti del Kenya, di Gibuti e della Repubblica democratica del Congo come ha confermato, irritando Khartoum, il segretario dell’Splm.

Irritazione che potrebbe trascendere in ben più gravi azioni, soprattutto a fronte del processo di demarcazione dei confini che coinvolgerà anche la mappatura delle aree contese come Abiey, tra le più ricche di giacimenti.

La regione a statuto autonomo avrebbe dovuto decidere attraverso un referendum, parallelo a quello per l’indipendenza del Sud, se restare parte del Nord o seguire il meridione indipendente.

Il voto è stato rinviato per le controversie tra National congress party e Sudan’s people liberation movement su chi avesse diritto di voto.

Su questo punto Salva Kiir Mayardit, il presidente del Sud Sudan, ha manifestato non pochi timori parlando di «ostacoli post-referendum che segnano l’inizio di una nuova lotta».

Il timore che non parlasse solo in senso figurato dovrebbe far riflettere sul futuro che attende questo turbolento e instabile paese che si appresta ad affrontare l’indipendenza attesa cinque anni con un fardello di problematiche che schiaccerebbe anche il più navigato e stabile stato occidentale.

Libia

20 Mar

SENZA PAROLE.. Ditele voi, quello che pensate si sarebbe dovuto fare o se può andare cosa si è fatto..

Ed ora lo Yemen ?

20 Mar

Lo Yemen, secondo la costituzione del 1991 più volte modificata, è una repubblica presidenziale. Anche se in teoria il sistema politica è basato sul pluralismo politico, il Congresso generale del Popolo, il cui leader è il presidente Saleh, è da decenni il partito dominante. Lo Yemen versa da decenni in un condizioni difficilissime: il 43% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e con un tasso di disoccupazione elevatissimo. È alfabetizzato soltanto il 50,2 % della popolazione e appena il 30% delle donne. La mortalità infantile è del 70 per mille. La speranza di vita è di 59 anni per gli uomini e di 63 anni per le donne.

ali-abdullah-saleh

il dispotismo di Saleh e la causa indipendentista del sud non sono le uniche ragioni del nuovo scenario yemenita. La protesta è cominciata lo scorso 12 febbraio, quando migliaia di studenti e membri della società civile si sono riuniti in un sit-in permanente nell’università di Sana’a. Spronati dall’esempio della sollevazione tunisina, hanno iniziato a credere nella possibilità di conquistare migliori condizioni di vita.

Il sistema politico una volta era considerato l’unico esempio di democrazia nella Penisola Arabica, ma ben presto è degenerato in un regime monopartitico e corrotto. L’opposizione formalmente esiste, ma è debolissima e non ha alcun margine d’azione.

manifestanti a Sanaa

Sempre a febbraio sono iniziate le prime grandi manifestazioni nella Capitale e ad Aden, che hanno portato con sé anche le prime vittime. Da allora, ogni giorno nel Paese si susseguono marce di protesta contro Saleh. L’opposizione al regime ha trovato appoggio non solo nel movimento secessionista, ma anche nelle due più potenti confederazioni tribali yemenite, la Hashed e la Baquil. Come estremo tentativo di evitare la mattanza, le forze anti-regime e i veritici religiosi islamici avevano proposto a Saleh un piano che prevedeva la sua graduale uscita di scena entro il 2011. Naturalmente hanno incassato un secco rifiuto.

Si trova ad accogliere circa 200.000 rifugiati prevalentemente somali, un numero sempre crescente di migranti “economici” provenienti dall’Etiopia, circa 30.000 nel 2010, e gli effetti del conflitto tra Governo e tribù al nord (Al Houti) che dal 2009 ha provocato lo sfollamento di oltre 300.000 yemeniti da Sada’a che ancora oggi faticano a rientrare nel loro luogo di origine a causa della situazione ancora insicura. ‘Si rischia nei prossimi giorni ancora un’escalation delle violenze e delle già forti tensioni esistenti, e le prospettive non sono positive anche per la riduzione delle riserve sia di petrolio che di acqua.

Difficile prevedere quello che potrebbe succedere dopo un’eventuale caduta di Saleh. La causa dell’opposizione al presidente è stata fin qui in grado di tenere uniti gruppi assai eterogenei, che in altre circostanze sarebbero stati in contrasto fra loro. Quella dello Yemen è una società tribale e ogni fazione chiede le dimissioni del presidente per ragioni diverse. Il capo della più importante confederazione tribale del Paese, Hamid al-Hamar, dopo aver aderito alla protesta nata dagli studenti, si è proposto come successore di Saleh. Il problema è che per molti yemeniti alternative di questo tipo non sono accettabili. Non ci sarebbe infatti alcuna frattura rispetto alla logica politica tradizionalmente sperimentata.

E i separatisti del sud? E’ davvero difficile sperare in un futuro di pace e democrazia per lo Yemen, se si pensa che una parte significativa dell’opposizione al regime è costituita proprio dal movimento secessionista. Cacciare Saleh non basterà, non sarà la fine della violenza. Gli analisti sono più che indecisi su quale possa essere il futuro del Paese se alla fine il regime cadrà davvero. Alcuni parlano genericamente di una “lunga fase d’instabilità politica”. Altri di una guerra civile prolungata.

Tutte le perle della Lega Nord

20 Mar
Riportiamo volentieri un elenco di alcune tra le migliori perle leghiste così che, se ancora esistevano dubbi, si possa dire che questo partito è xenofobo e razzista:
  • Gli immigrati bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pim pim col fucile. (Giancarlo Gentilini, vice sindaco di Treviso)

    GENTILINI

  • Meglio noi del centrodestra che andiamo con le donne, che quelli del centrosinistra che vanno con i culattoni. (Umberto Bossi, ministro delle Riforme per il Federalismo)
  • Quegli islamici di merda e le loro palandrane del cazzo! Li prenderemo per le barbe e li rispediremo a casa a calci nel culo! (Mario Borghezio, europarlamentare)
  • Agli immigrati bisognerebbe prendere le impronte dei piedi per risalire ai tracciati particolari delle tribù. (Erminio Boso, europarlamentare)
  • La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni. (Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione Normativa)
  • Gli omosessuali devono smetterla di vedere discriminazioni dappertutto. Dicano quello che vogliono, la loro non è una condizione di normalità. (Flavio Tosi, sindaco di Verona)

    TOSI

  • Nella vita penso si debba provare tutto tranne due cose: i culattoni e la droga. (Renzo Bossi, consigliere regionale della Lombardia)
  • Gli omosessuali? La tolleranza ci può anche essere ma se vengono messi dove sono sempre stati… anche nelle foibe. (Giancarlo Valmori, assessore all’ambiente di Albizzate)
  • A Gorgo hanno violentato una donna con uno scalpello davanti e didietro. E io dico a Pecoraro Scanio che voglio che succeda la stessa cosa a sua sorella e a sua madre. (Giancarlo Gentilini, vice sindaco di Treviso)
  • Carrozze metro solo per milanesi. (Matteo Salvini, eurodeputato)
  • Sono stato, sono e rimarrò un razzista secondo le ultime direttive UE poichè credo, e aspetto smentita da quei pochi che mi leggono, che certe notizie riportate solo da Il Giornale definiscano chiaramente che tra razza e razza c’è e ci deve essere differenza. (Giacomo Rolletti, assessore all’ambiente di Varazze)
  • Gli sciacalli vanno fucilati. Bisogna dare alle forze dell’ordine l’autorità di provvedere all’esecuzione sul posto. Ci vuole la legge marziale. (Leonardo Muraro, presidente della provincia di Treviso)

    ROLLETTI

  • Darò immediatamente disposizioni alla mia comandante affinché faccia pulizia etnica dei culattoni. (Giancarlo Gentilini, vice sindaco di Treviso)
  • I disabili nella scuola? Ritardano lo svolgimento dei programmi scolastici, più utile metterli su percorsi differenziati. (Pietro Fontanini, presidente della provincia di Udine)


  • Siamo in un Paese libero, o no? E poi la cosa che mi fece più arrabbiare non furono le botte, ma gli insulti. Ebreo. A me. Capito? (Mario Borghezio, eurodeputato)
  • E’ un reato offrire anche solo un the caldo ad un immigrato clandestino. (Luca Zaia, presidente della regione Veneto)
  • Viva la famiglia e abbasso i culattoni! (Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione Normativa)
  • Rispediamo gli immigrati a casa in vagoni piombati. (Giancarlo Gentilini, vice sindaco di Treviso)
  • Finché ci saremo noi, i musulmani non potranno pregare in comunità. (Marco Colombo, sindaco di Sesto Calende)
  • Vergognati, extracomunitario! (Loris Marini, vicepresidente della sesta circoscrizione di Verona)
  • Se ancora non si è capito essere culattoni è un peccato capitale. (Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione Normativa)
  • Parcheggi gratis per le famiglie, esclusi stranieri e coppie di fatto. (Roberto Anelli, sindaco di Alzano)
  • Voglio la rivoluzione contro i campi dei nomadi e degli zingari: io ne ho distrutti due a Treviso. (Giancarlo Gentilini, vice sindaco di Treviso)
  • E’ proprio per questo che invito ad assumere trevigiani: i meridionali vengono qua come sanguisughe. (Leonardo Muraro, presidente della provincia di Treviso)

    BORGHEZIO

  • Se non ci sarà il federalismo, ci potrà essere la secessione. (Roberto Castelli, vice ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti)
  • Noi ci lasciamo togliere i canti natalizi da una banda di cornuti islamici di merda. (Mario Borghezio, eurodeputato)
  • Le nozze miste, in linea di massima, durano poco e producono più danni che fortune. (Marco Rondini, deputato)
  • L’immigrato non è mio fratello, ha un colore della pelle diverso. Cosa facciamo degli immigrati che sono rimasti in strada dopo gli sgomberi? Purtroppo il forno crematorio di Santa Bona non è ancora pronto. (Piergiorgio Stiffoni, senatore)
  • Siamo stanchi di sentire in tv parlare in napoletano e romano. (Luca Zaia, presidente della regione Veneto)
  • Se dovessimo celebrare in Friuli Venezia Giulia i 150 anni dovremmo issare sul pennone la bandiera austro-ungarica. (Edouard Ballaman, presidente del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia)
  • Fermiamo per un anno le vendite di case e di attività commerciali a tutti gli extracomunitari. (Matteo Salvini, eurodeputato)
  • E’ inammissibile che anche in alcune zone di Milano ci siano veri e propri assembramenti di cittadini stranieri che sostano nei giardini pubblici. (Davide Boni, capodelegazione nella giunta regionale della Lombardia)
  • I gommoni degli immigrati devono essere affondati a colpi di bazooka. (Giancarlo Gentilini, vice sindaco di Treviso)