Petrolio

20 Mar

Gli attori dell’Asse del male potrebbero essere divisi in quattro categorie, come operato in “I nomi del male“. La prima, quella degli “Avanzi di guerra fredda” vede Fidel Castro nelle vesti di Patriarca nell’autunno, Kim Jong-il come Il ricattatore nucleare e Bashar Assad Pragmatico sponsor del terrore.La terza riguarda i “Signori del terrore”: il Mullah Omar l’Emiro fantasma; Sayed Hassan Nasrallah Lo sceicco dei kamikaze; Ayman al-Zawahiri L’Anchorman del jihad; Tirofijo L’eterno guerrigliero; Hamas Con ardore per la Palestina islamica.La quarta invece si sofferma sulle “Dittature esemplari”. Aleksandr Lukašenko L’ultimo dittatore d’Europa; Robert Mugabe il Mandela andato a male; Myanmar Il destino di Orwell; Sudan Di massacro in massacro.Ma la seconda parte, quella sui “Signori del petrolio”, metteva appunto Chávez assieme a Gheddafi, oltre che ad Ahmadinejad.Dal punto di vista delle biografie personali, per la verità, la somiglianza era più tra Chávez e Gheddafi. Entrambi colonnelli. Tutti e due golpisti, anche se il libico riuscito, e il venezuelano invece fallito e andato al potere per via elettorale. Entrambi ufficiali delle trasmissioni e dunque preparati sul cruciale tema della comunicazione. E poi un llanero e un beduino, appartenenti a due segmenti di popolazione numericamente marginali, ma rappresentate come quintessenza più autentica rispettivamente della venezuelanità e della libicità.Dal punto di vista del tipo di regime, invece, l’affinità è più tra Iran e Venezuela. E in effetti i rapporti tra Chávez e Gheddafi sono stati più intensi dal punto di vista personale, ma tra Venezuela e Iran dal punto di vista istituzionale.Vediamoli però tutti e tre assieme. Muammar Gheddafi, classe 1942. Leader della rivoluzione libica del primo settembre 1969, primo ministro dal 16 gennaio 1970 al 16 luglio 1972, è attualmente “Leader fraterno e Guida della rivoluzione”, nonché “Guida della grande rivoluzione del primo settembre della jamahiriya socialista popolare araba libica”. Jamahiriya è un neologismo creato dallo stesso Gheddafi modificando il normalejumhūrīya, “repubblica”, in modo da farlo significare qualcosa tipo “Stato delle masse”. Le due cariche sono in teoria onorifiche, ma corrispondono a un ruolo di capo dello Stato de facto.

Hugo Rafael Chávez Frías, classe 1954. Dal 2 febbraio 1999 presidente della Repubblica del Venezuela, divenuta il 15 dicembre 1999 Repubblica bolivariana del Venezuela.

HUGO CHAVEZ

Mahmud Ahmadinejad, classe 1956. Dal 3 agosto 2005 Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran.

MAHAMUD AHMADINEJAD


Primo dato in comune: sia Chávez sia Ahmadinejad sono divenuti presidenti dopo un voto pluralista, prevalendo su candidati concorrenti. Chávez, anzi, è stato eletto tre volte, tra la seconda e la terza delle quali è stato confermato da un referendum revocatorio.


In Iran esistono organismi di natura teocratica che limitano pesantemente la scelta democratica, e il Venezuela è in fase di pesante involuzione autoritaria, ma nessuno dei due paesi può essere considerato una dittatura allo stesso livello dei tre “Avanzi di guerra fredda”.


Gheddafi invece è andato al potere con un colpo di Stato. Prima dei recenti avvenimenti, però, vari osservatori hanno testimoniato che il sistema dei Congressi del Popolo da lui creato in Libia non era un organismo fittizio stile potere sovietico, ma manifestava un minimo di articolazione e dibattito reale.

MUHAMMAR GHEDDAFI


In modo diverso, tutti e tre questi leader sono stati dunque espressione di un mandato popolare più o meno genuino. Ma né Libia, né Venezuela, né Iran sono oggi uno Stato di diritto vero e proprio.


La spiegazione dell’apparente contraddizione è nel petrolio, di cui l’Iran era stato al momento in cui quel libro andava in stampa il quarto produttore mondiale e il terzo esportatore; il Venezuela l’ottavo produttore mondiale e sesto esportatore; la Libia il diciassettesimo produttore mondiale e undicesimo esportatore.


Grazie al greggio la Libia ha il reddito pro capite più alto dell’Africa e il Venezuela ha avuto per molti anni il reddito pro capite più alto del Sud America. Più povero è l’Iran, che deve dividere questa ricchezza tra una popolazione molto più numerosa, ma ha comunque un reddito pro capite che è quattro volte quello del Pakistan e dieci volte quello dell’Afghanistan, tanto per confrontarlo con due suoi vicini senza petrolio.


In Libia, Venezuela e Iran, dunque, chi controlla il petrolio può stabilire un potere forte sulla società permettendosi di ridurre al minimo una repressione che pure c’è, giocando invece sul consenso. Ma per mantenere questo consenso è necessario che i prezzi del greggio siano alti.


Quale modo migliore di far schizzare in alto le quotazioni dell’oro nero, se non agitando la comunità internazionale con dichiarazioni incendiarie?


Alla radice, il problema di questi paesi come Asse del male è tutto qui. È pure vero che i risentimenti anti-Usa e anti-multinazionali in Libia, Venezuela e Iran sono radicati, e legati a aspre lotte per il controllo della ricchezza nazionale. La monarchia senussita in Libia, la quarta repubblica venezuelana e il regime dello scià in Iran erano venuti meno proprio per l’incapacità di risolvere queste lotte in modo soddisfacente.


Di qui, però, anche una politica estera all’apparenza avventurosa, sebbene poi tra il dire e il fare ci passino di mezzo oceani, più che mari. In tutti e tre questi paesi la necessità di spendere i petroldollari per mantenere il consenso ha infatti portato a una drastica sottovalutazione di investimenti e ammortamenti, rendendoli pesantemente dipendenti dall’estero per la raffinazione.


E in tutti e tre questi paesi c’è anche una forte esposizione dalle importazioni anche per gli approvvigionamenti dei beni di prima necessità. Ciò, spesso, piuttosto che fare da calmante ha stimolato per reazione la bulimia geopolitica, con progetti di integrazione e assi di alleanza megalomani.


D’altra parte, è lo stesso andamento altalenante delle quotazioni del greggio a creare psicologie nazionali ciclotimiche, sempre in bilico tra la depressione vittimista e l’ottimismo prometeico.


Altro punto in comune tra Libia, Venezuela e Iran è infatti l’ardito sperimentalismo ideologico-istituzionale: dal Libretto Verde di Gheddafi al bolivarismo e socialismo del XXI secolo di Chávez alla Rivoluzione Islamica del khomeinismo, tutti e tre questi paesi in realtà culturalmente marginali hanno ritenuto di aver inventato un nuovo modello politico in grado di rinnovare l’intero scenario mondiale, ponendo rimedio ai limiti delle ideologie tradizionali.


Tutti e tre questi paesi nell’Asse del male si trovano dunque in condizioni sui generis. L’Iran infatti a un certo punto è sembrato fare uno sforzo per tirarsene fuori: è stata la non comprensione Usa che secondo alcuni ha portato all’arroccamento dell’elezione di Ahmadinejad.


La Libia è stata in qualche modo perdonata dagli Stati Uniti. Ma dal punto di vista interno è restata un oggettivo Avamposto di Tirannia, fino all’ultima esplosione.

Quanto al Venezuela, il caso è curioso, perché nonostante avesse preso alcune cautele Washington ha a lungo esitato a catalogare Chávez nelle sue numerose liste nere.

Anzi, il sottosegretario Usa agli Affari Emisferici Shannon ebbe modo di riconoscere il Venezuela come “una democrazia, sia pure con problemi”. Sembra però che sia stato Chávez a cercare di fare di tutto per suscitare le ire statunitensi. Non ci sentiamo di stabilire se solo per far rialzare i prezzi del petrolio.

O per far dimenticare che rimane uno dei principali fornitori di greggio agli Usa, anche con le guerre in corso in Iraq e Afghanistan. O per ideologia. O perché ha elementi per concludere che gli Usa stanno manovrando contro lui sotto banco. O per che altro.

Maurizio Stefanini, giornalista professionista e saggista. Free lance, collabora con Il FoglioLiberoLiberalL’OccidentaleLimesAgi EnergiaScuola Superiore della Pubblica AmministrazioneScuola Superiore dell’Economia e delle Finanze.Specialista in politica comparata, processi di transizione alla democrazia, problemi del Terzo Mondo,  in particolare dell’America Latina, e rievocazioni storiche.

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